Museo Civico Geopaleontologico “Ardito Desio”

Il Museo Civico Geopaleontologico “Ardito Desio”, inaugurato nel luglio del 2002, si è avvalso della collaborazione del Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università Roma Tre, che ha elaborato i contenuti scientifici ed ha curato gli aspetti museologici e museografici.
Il Museo conserva le testimonianze fossili, ampiamente diffuse nei Monti Prenestini meridionali, delle barriere coralline cretaciche e dell’evoluzione dell’antico oceano in cui fiorirono.
Per la particolare collocazione il museo è inoltre un efficace osservatorio sulla multiforme morfologia e geodiversità che caratterizza la nostra regione.
L’orizzonte da sud a nordovest si affaccia su un’ampia porzione del territorio regionale che dalla Pianura Pontina e dalle pendici del rilievo Albano, comprende Roma e la sua provincia, fino al debole profilo dei Colli Sabatini.
E’ il territorio che le genti latine chiamavano “Latium”, la “terra degli spazi ampi”, la cui pianura solcata da una fitta rete di sorgenti e corsi d’acqua, costellata di specchi lacustri e cascatelle, di forre e dirupi, dominata da giovani rilievi vulcanici, testimonia della lunga storia e vitalità geologica della nostra regione.
L’altro versante, quello orientale, si affaccia sulla valle di Bellegra e Olevano. La vista giunge oltre le vette dell’Autore e del Viglio e nelle giornate più limpide spazia nella catena appenninica fino al gruppo del Velino-Sirente. Si osserva così un arco montuoso che dal Reatino arriva alla Valle Latina solcata dal fiume Sacco.
Il percorso museale permette al visitatore di conoscere aspetti omogenei della lunga storia geologica del Lazio e dell’Appennino Centrale, e in particolare delle scogliere coralline che costituivano il bordo occidentale di un complesso di isole e lagune nell’antico oceano Tetide, chiamate dai geologi “piattaforma Laziale-Abruzzese”.
L’allestimento museale, costituito dalla collezione paleontologica, da plastici dinamici, ricostruzioni paleogeografiche, globi, pannelli, diorami, si articola in cinque salette che comprendono periodi di differente estensione cronologica, dal presente a circa 200 milioni di anni fa.
La parte più significativa del percorso è rappresentata dagli spazi espositivi riguardanti le ricostruzioni dell’antica scogliera e le diverse fasi della sua evoluzione.
Il Museo, in collaborazione con le Università di Roma La Sapienza e Roma Tre, l’Amministrazione e la comunità locale, rivolge le sue attività, al pubblico, alle associazioni e alle scuole. Il sistema di presentazione multimediale per ciascuna sala integra l’esposizione e costituisce il riferimento principale per le visite del pubblico. Le visite scolastiche, in particolare, sono sempre guidate.
Inoltre l’intera area del Comune di Rocca di Cave, per la frequenza degli affioramenti fossiliferi e la rarità della situazione paleoambientale che rappresentano, può essere considerata come un museo all’aperto.
Il percorso è strutturato in 20 stop, che ripercorrono l’arco temporale di 100 milioni di anni, in un ideale viaggio all’indietro nel tempo: dal riconoscimento delle testimonianze dei fenomeni carsici ampiamente diffusi nella zona, alle estese testimonianze della “trasgressione miocenica”, ai frequenti affioramenti fossiliferi di ostriche, rudiste, nerinee e coralli.
Il Museo propone, durante l’anno, un articolato programma di circa venti serate dedicate alla conoscenza della volta celeste. Le osservazioni si svolgono sulle terrazze dell’edificio principale e del torrione, con l’utilizzazione di strumenti astronomici fra cui il riflettore Schmidt-Cassegrain da 36 cm, che costituisce lo strumento principale dell’osservatorio.
Di mese in mese si propone ai visitatori, o alle scolaresche con programmi e date ad esse riservati, lo spettacolo del succedersi stagionale delle costellazioni, dei moti planetari sullo sfondo delle lontane stelle dello zodiaco, degli eventi celesti prevedibili e imprevedibili, degli oggetti nascosti nello spazio profondo.
SCOPERTO TITO, PRIMO DINOSAURO SAUROPODE ITALIANO

un Titanosauro di sei metri che sarebbe vissuto circa 112 milioni di anni fa. E le ossa sono state studiate al Museo di Storia Naturale di Milano. Un gruppo di paleontologi italiani svela infatti oggi, con un articolo pubblicato sulla rivista internazionale Cretaceous Research, che ossa fossili trovate sui Monti Prenestini, a meno di 50 km da Roma, appartengono ad un Titanosauro. Con questa scoperta, i resti scheletrici di dinosauri trovati in Italia diventano cinque e ben tre di essi sono stati studiati al Museo di Storia Naturale di Milano, uno dei principali musei civici del Comune di Milano – Cultura, che si conferma come centro di eccellenza nelle ricerche sui dinosauri italiani.
“Con Tito, il soprannome dato al sauropode che è il più antico rappresentante del gruppo dei Titanosauri in Europa meridionale, sono cinque i dinosauri trovati finora in Italia sotto forma di ossa fossilizzate” afferma all’Adnkronos il paleontologo Cristiano Dal Sasso del Museo di Storia Naturale di Milano. “Ben tre di essi -continua- sono nuove specie, e Tito, con le sue bizzarre articolazioni vertebrali ‘invertite’, potrebbe rappresentarne un’altra”. “E’ possibile -osserva il paleontologo- che i dinosauri italiani siano così particolari, perché evolutisi in parziale isolamento, oppure semplicemente in ambienti diversi dai grandi spazi continentali”. Il primo in assoluto è stato Scipionyx detto ‘Ciro’, un teropode, un dinosauro carnivoro bipede.
Queste nuove ossa, seppur poche, sottolineano gli studiosi, risalgono a 112 milioni di anni fa e appartengono ad un sauropode, che rappresenta il primo dinosauro erbivoro quadrupede dal collo lungo scoperto in Italia, e il più antico rappresentante del gruppo dei Titanosauri in Europa meridionale. Da qui il soprannome di Tito, che evoca anche un imperatore romano della vicina Capitale.
La presenza in Italia centrale di un dinosauro medio-grande, quando morì, Tito era lungo almeno 6 metri, ma stava ancora crescendo, indica, spiegano i ricercatori, “che nel Cretaceo inferiore la nostra paleo-penisola doveva formare una catena di piattaforme più ampie del previsto, che consentivano il passaggio di dinosauri e altri animali terrestri tra Africa ed Europa attraverso il Mare di Tetide, antenato del Mediterraneo”. La scoperta dunque aggiunge dati paleogeografici importanti per la conoscenza della preistoria d’Italia.
“‘Datemi un osso, e io ricostruirò l’intero animale’ diceva il famoso anatomista francese Cuvier. E così abbiamo fatto con Tito” ricorda Cristiano Dal Sasso. “Infatti -spiega- delle tre ossa estratte, due sono frammentarie, tanto che si può solo dedurre che appartengano a porzioni del cinto pelvico di un grande rettile. Invece la vertebra, perfettamente conservata in 3D, manca soltanto della spina neurale e di una articolazione sul lato destro”.
Rocambolesca la storia della scoperta del dinosauro Tito. Anni fa, Antonio Bangrazi, mentre costruiva un muretto a secco con massi recuperati da una parete rocciosa situata tra i comuni di Cave e Rocca di Cave, presso Palestrina (Roma), si accorse che alcuni blocchi sembravano contenere ossa fossilizzate. Ma non le mostrò a nessuno fino all’estate del 2012, quando l’amico Gustavo Pierangelini, fortemente incuriosito, riuscì a fotografarle e ad inviarle per email a Cristiano Dal Sasso, del Museo di Storia Naturale di Milano (Msnm), per una valutazione paleontologica preliminare.
“Confermai subito la presenza di ossa fossili, ma per capirne la forma e classificarle era necessario estrarle dalla roccia” dice Dal Sasso. Pertanto il ritrovamento fu notificato prima a Sandra Gatti, poi ad Alessandro Betori, funzionari della Soprintendenza del Lazio e dell’Etruria meridionale guidata da Alfonsina Russo, che autorizzarono le successive indagini e il deposito dei reperti presso il Msnm. Mesi fa, da uno dei blocchi affidati a Fabio Fogliazza del Laboratorio di Paleontologia del Msnm era emersa una vertebra quasi completa, che mostrava inequivocabili caratteri diagnostici: stava emergendo la carta d’identità di un dinosauro mai visto in Italia.